L’innovazione passa per il capitale umano

Abusata nell’ultimo decennio, la parola innovazione sembra essere sempre legata a doppia mandata alla parola prodotto o processo; in realtà, innovazione, ovvero la capacità di mettere del nuovo e di creare relazioni nuove tra cose già note, come amava ribadire Vilfredo Pareto, riporta l’attenzione sull’aspetto peculiare che caratterizza questo termine, ossia, creatività da una parte, complessità dall’altro. Interessante è, infatti, oggi parlare di innovazione delle professioni e più in generale del lavoro, ambiti  in cui il concetto di contaminazione, che tiene conto di creatività e complessità, appunto, pare proprio farla da padrone.

Formare il capitale umano

il 65% dei bambini che sono alla primaria da grande farà un lavoro che oggi non solo non esiste ma che nemmeno sappiamo immaginare. In questo scenario, in cui le competenze e le conoscenze diventano rapidamente obsolete, su cosa devono puntare i giovani per la loro formazione? La riflessione di fondo è che i giovani dovrebbero prima di tutto incontrare, scoprire e vivere le loro passioni, stimolate, suscitate e fatte emergere con un percorso educativo che deve iniziare fin dai primi anni di scuola, e che sappia tenere insieme ragione e immaginazione, pensiero ed emozioni. Una maturazione cognitivo-comportamentale non può prescindere da una piena e consapevole crescita emotiva basata su un’alfabetizzazione emozionale in grado di garantire uno sviluppo personal-professionale sul doppio binario. Tutto questo comporta quella che – a mio avviso – è una questione di cruciale importanza, anche se molto sottovalutata: riscoprire il valore dell’autenticità e ritornare ad un’educazione all’autenticità. Possono sembrare dimensioni scollegate con il tema del lavoro, ma è esattamente il contrario. Occorre puntare su percorsi formativi che siano sempre più costruiti e progettati in un’ottica interdisciplinare e multidisciplinare. Si avrà sempre più bisogno nell’abito del complesso e mutevole scenario odierno di figure ibride, di profili curriculari che sappiano tenere insieme immaginazione e razionalità, creatività e rigore metodologico, l’umano e il tecnologico. Occorre, quindi, recuperare l’empatia, il pensiero critico, una visione sistemica dei fenomeni, l’educazione alla comunicazione; si tratta, quindi, di sapere, saper fare ma anche e soprattutto far sapere, senza dimenticare quel saper essere che spesso oggi non rappresenta un dato scontato.

Scopri di più nell’articolo La società ipertecnologica? Non ha bisogno di tecnici, ma di ibridi

 

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